martedì 24 giugno 2008

21 giugno 2008

la sveglia ci strappa ai nostri sogni politici per schiodarci le palpebre sul sole economico che entra dalle finestre. è OTTAVIA la prima ad alzarsi, come al solito. la sento in doccia poi si prova la gonna nuova e sta bene. la LIA scodinzola avanti e indietro viene a leccarci per chiederci un giro. anche a ripeterglielo non ha ancora realizzato che oggi farà il bagno. la lunga stanza ritorna quello che è. ogni notte è la coperta di una nave gli oblò a destra proiettati sulla parete di sinistra richiudo gli occhi mentre mi sorvola una falenottera mi sforzo di resistere al sonno la testa mi rotola dal cuscino ballonzola rossastra fuori dalla porta sulla scala a chiocciola a naufragare tra le zanzare artiche sparite nelle crepe sul soffitto. tagliaerba nell’aria afosa di sabato mattina. nogara, vr. il 21 giugno è solo un dato statistico. l’estate è cominciata tre giorni fa a milano con TOM che ci canta che tutto è al suo posto. spengo la sveglia sul comodino dietro la spalliera del letto. alzarsi, prima che il sole allo zenit ci sciolga. accendo stereo e doccia. promemoria: andare a comprare un paio di scarpe ché quelle che ho hanno i buchi.

sabato 21 giugno 2008

radiohead

non ho parole..

leggi berlusconissime?

ricusare i giudici impiegare l'esercito in casi di emergenza magistratura criminale neo-liberismo protezionista emergenza immigrati, ah la democrazia!
a quando lo stato d'eccezione?

domenica 1 giugno 2008

26 maggio 2008

sicurezza. rom immigrati morti nei cpt ronde ritorno al nucleare entro cinque anni immondizie e carcere cambiare le regole d’ingaggio ai militari in afghanistan libertà. la tv della. spengo il televisore. mi metto a lavare i pochi piatti in cui ho mangiato, bestemmie masticate in aria cerco di sprecare il minimo d’acqua possibile e fingo di non capire quella voce che urla uccidi uccidi nella testa. mi asciugo le mani. la possibilità di una conversione ecologica solo se socialmente desiderabile. muoversi solo in vista di un vantaggio, incitare il popolo a condividere le idee dei governanti. non mi faccio prendere dallo sconforto appeso tra gli stracci e l'ideologia della comunicazione. scendo le scale per la palude accendo il computer: apro un foglio di word e quello che c'è è bianco e vuoto. e così rimane. allora faccio la guerra ma quell'idiota del mio capo-fazione, brenno, si fa ammazzare in battaglia caricando frontalmente con la cavalleria dei lancieri romani. esco. risalgo e mi faccio un caffè. la cetonia che avevo appoggiato sul davanzale della finestra e che si era finta morta gli arti rigidi non è più lì. la strategia si fonda sull'inganno.

un lungo week-end post postmoderno. BERLINO

ESERCITAZIONE 1 (FRA GIORNALISMO E NARRATIVA I)

Un lungo week-end post postmoderno. Berlino

Tegel sembra un aeroporto di una qualsiasi cittadina di provincia, per dimensioni. La pianta esagonale lo rende però estremamente ordinato e fruibile, si sbrigano in fretta le operazioni di ritiro bagagli, altrettanto facilmente si riesce a prendere il bus che porta in città. O meglio in centro. O meglio ancora in uno dei centri. Perché Tegel è all’interno della città e non può essere altrimenti. E pure non ci possono che essere che più, e sempre diversi, centri, qui. E piccolo, sproporzionato, risulta al ricordo della città dall’alto prima dell’atterraggio. O alla prova delle distanze percorse nei giorni a seguire. Berlino è una città spanta, più che estesa, su una superficie di quasi 900 km².
Dei tre aeroporti Tegel, nella zona nord, è il minore per grandezza, ma è quello che per ora veicola la maggior parte del traffico e vive una sua estemporaneità che non è Jetztzeit, tempo attuale, non contiene in sé, riassumendolo, il passato, è un presente senza futuro e dimentico di ciò che è stato. Un tempo sospeso, puntuale, rappreso in una sorta di pseudo-istantaneità (fatta di momenti intercambiabili, tutti uguali e tutti teoricamente accaparrabili, vivibili e consumabili all’istante), la stessa che ci permette di essere qui in un’ora e mezza da Bergamo. L’eliminazione della distanza, del viaggio per sé e quindi dell’esperienza dello stesso come fatica e metabolizzazione di un attraversamento spaziale, ci regala un’«acquisizione immediata» della città, ma rischia di favorire allo stesso tempo un’«immediata perdita d’interesse» per la stessa. Ma non è certo peculiarità questa di Berlino, quanto piuttosto una qualità dell’attuale modernità.
In attesa dell’imminente chiusura, Tegel si trova in buona compagnia: la stessa sorte toccherà pure al più famoso Tempelhof, costruito nei primi anni Venti, riprogettato durante il Terzo Reich e noto soprattutto come approdo dei velivoli impegnati nel ponte aereo nel periodo della divisione. Per scongiurarne la chiusura era stato indetto un referendum che però è fallito per il non raggiungimento del quorum. Analizzando i risultati c'è da notare una grossa spaccatura: nei distretti di quella che era Berlino Ovest hanno vinto i contrari alla chiusura, mentre in quelli dell'Est hanno prevalso i favorevoli (i due che, dopo l'unificazione, sono nati dall'accorpamento di quartieri dell'Est e dell'Ovest, e cioè Friedichshain-Kreuzberg e Mitte, hanno votato in maggioranza rispettivamente per il sì e per il no).
Entrambi verranno sostituiti dal meridionale Schönefeld, già ribattezzato Aeroporto Internazionale Berlino–Brandeburgo, che diventerà quindi l’aeroporto della ritrovata capitale della Germania, il degno scalo di una vera capitale di un unico, vero Stato, impegnato, anche per mezzo di tali operazioni, a riguadagnare il prestigio internazionale e a creare all’interno una tradizione che, a guardar bene, non esiste. Specialmente a Berlino. E questa invenzione identitaria, non può che avere come fase preliminare la cancellazione dei segni e dei simboli di ciò che è stato prima. Ad ogni cambio di regime nuovi piani per il riassetto della città destinati a fallire, nuove demolizioni a creare vuoto, ma da questa ostinata volontà di estirpare le tracce della storia si libera uno spazio aperto. La memoria ha qui una forza maggiore nei resti e nei crateri che si vedono disseminati in giro, la storia del secolo scorso affiora qua e là come la risultante dell’azione di erasione che il politico, nelle sue diverse espressioni, dall’impero al mercato, ha esercitato sullo spazio cittadino. Concetti (e prassi) come memoria, raddoppiamento, vuoto, temporaneità sono ben esemplificati da una seppur minima ricognizione dello stato attuale degli aeroporti, ma si possono ritrovare facilmente e amplificati anche ad una prima esplorazione della città.
Sotto un cielo grigio che ci sorprende e affascina, Ottavia ed io ci muoviamo per zone, mettendo immaginarie bandierine nei luoghi che raggiungiamo. Cerchiamo i resti della divisione, di quella tendenza a sdoppiarsi e rifondersi che ha Berlino fin dalla fondazione. Pochi pezzi di Muro ancora in piedi, tra cantieri stradali o nella globalizzata architettura di Potsdamer Platz. Il vento è freddo, ma potrebbe far di peggio visto che la settimana precedente al nostro arrivo si toccano i -19°C. In Karl Marx Alee, il viale delle parate militari della DDR, quasi nessuno. Non passanti, sparute auto. Solo qualche corvo ai lati della strada. I berlinesi camminano spediti e si fanno gli affari loro, mai invadenti (non si potrebbero altrimenti spiegare i finestroni senza imposte delle case). All’occasione si dimostrano però molto disponibili. Noi ci nutriamo della toponomastica. Fino a Pankow. Poi sono le sere che arrivano sempre molto presto, i locali dove ancora si poteva (al tempo) fumare, dove la musica è un continuo stupore, dove portano una ciotola con acqua agli avventori con cane al seguito. La città si dimostra immensa, le distanze da coprire sono considerevoli, ma in soccorso ci sono i capillari mezzi pubblici, su tutti U-Bahn ed S-Bahn (il venerdì ed il sabato vanno tutta notte). E ad ogni stazione profumo di cibo. E quasi ovunque vedi la Fernsehturm, la torre della televisione, a sfidare le nubi. Due grossi debiti di memoria: il Bauhaus Archiv-Museum e, quasi imperdonabile, lo Jüdisches Museum.
Berlino, che è stata centro del mondo, in cui la storia si è fatta, agita o subita (ma che è ora che sta condannando la città «allo svanimento»), si sta ora normalizzando. La spinta dei primi anni Novanta si è spenta nel giro di dieci anni, le casse cittadine vuote, la speculazione edilizia, «il capitale» che «si impadronisce della città socialista dopo il 1989» hanno cambiato l’umore della città, hanno trasformato quartieri popolari in luoghi alla moda e spinto verso piccole riserve e verso la periferia gli squat. Diventerà una qualsiasi capitale europea, ma per ora gli spazi sono ancora vasti, i prezzi bassi. Ottavia ed io alla fine ci ritroviamo in mezzo a gite scolastiche e viaggiatori d’affari, di nuovo a Tegel, tutti con i nostri gadgets culturali.

mala tempora currunt

dopo i problemi risolti con la mail..dopo la disfatta elettorale di ogni possibile sinistra parlamentare..dopo impasse e perdite di tempo..il clima si fa pesante licenziamenti aggressioni omicidi pogrom..il diverso è il bersaglio..e minimizzare dicendo che la politica non centra non fa che legittimare queste violenze..se la croce celtica al collo di alemanno, le parole dei leghisti, il mito bipartisan della sicurezza non sono i responsabili materiali, concorrono a spostare il conflitto dal piano sociale a quello etnico, ma non solo..è l'alterità in sé che viene ad essere considerata come una minaccia..ed è la categoria del politico, non semplicisticamente la politica, ad esserne causa..divide et impera..