- il termine epigono
viene usato per lo più con l'accezione svilente di imitatore
-
l'accusa di epigonismo investe spesso chi utilizza mezzi già dati,
specialmente nel caso di chi ricerca una scrittura (questo il campo
d'indagine) non lineare, nel solco delle sedimentate avanguardie
(storiche e neo)
-
le avanguardie si sono ormai costituite in tradizione, fornendo mezzi
poetici ancora fruttiferi (il termine avanguardia rimanda, comunque e
purtroppo, a militarismo e teleologia)
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verrebbe in mente a qualcuno di dare dell'epigono di Giacomo da
Lentini a un qualunque sonettaro?
-
essere ritenuto un imitatore è essere tacciato di essere minore
rispetto a una auctoritas letteraria
-
in realtà, il termine epigono indica semplicemente la condizione
fattuale di chi è "nato dopo", in circostanze storiche
date e mutate
-
ma chi impone il significato di imitatore a chi è semplicemente"nato
dopo", se non l'auctoritas stessa di chi ha avuto il caso di
nascere prima? cioè chi occupa una consolidata posizione di potere?
-
essere minori è piuttosto un farsi minori rispetto a detta
auctoritas, un defilarsi, uno scansare gerarchie e rapporti di forza
da essa imposti
-
l'accusa di epigonismo non è forse un tentativo di edipizzare (o
ri-edipizzare, di continuo), così da controllarlo e catturarlo, il
rapporto che i "nati dopo" hanno con una qualsiasi
tradizione (da usare, distruggere e/o continuare)?
-
ma il rapporto con ciò che è stato non è un rapporto di filiazione
diretta, un rapporto con papà-mammà (non ha a che fare con
un'uccisione, ha a che fare con un tradimento/traduzione), è una
tensione di produzione/resistenza (anche in questo tempo in cui
l'inconscio, piuttosto che funzionare come una fabbrica, sembra
funzionare come un call-center)
-
infine, stando al mito, sono gli epigoni che espugnano Tebe, non i
sette
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