domenica 1 giugno 2008

un lungo week-end post postmoderno. BERLINO

ESERCITAZIONE 1 (FRA GIORNALISMO E NARRATIVA I)

Un lungo week-end post postmoderno. Berlino

Tegel sembra un aeroporto di una qualsiasi cittadina di provincia, per dimensioni. La pianta esagonale lo rende però estremamente ordinato e fruibile, si sbrigano in fretta le operazioni di ritiro bagagli, altrettanto facilmente si riesce a prendere il bus che porta in città. O meglio in centro. O meglio ancora in uno dei centri. Perché Tegel è all’interno della città e non può essere altrimenti. E pure non ci possono che essere che più, e sempre diversi, centri, qui. E piccolo, sproporzionato, risulta al ricordo della città dall’alto prima dell’atterraggio. O alla prova delle distanze percorse nei giorni a seguire. Berlino è una città spanta, più che estesa, su una superficie di quasi 900 km².
Dei tre aeroporti Tegel, nella zona nord, è il minore per grandezza, ma è quello che per ora veicola la maggior parte del traffico e vive una sua estemporaneità che non è Jetztzeit, tempo attuale, non contiene in sé, riassumendolo, il passato, è un presente senza futuro e dimentico di ciò che è stato. Un tempo sospeso, puntuale, rappreso in una sorta di pseudo-istantaneità (fatta di momenti intercambiabili, tutti uguali e tutti teoricamente accaparrabili, vivibili e consumabili all’istante), la stessa che ci permette di essere qui in un’ora e mezza da Bergamo. L’eliminazione della distanza, del viaggio per sé e quindi dell’esperienza dello stesso come fatica e metabolizzazione di un attraversamento spaziale, ci regala un’«acquisizione immediata» della città, ma rischia di favorire allo stesso tempo un’«immediata perdita d’interesse» per la stessa. Ma non è certo peculiarità questa di Berlino, quanto piuttosto una qualità dell’attuale modernità.
In attesa dell’imminente chiusura, Tegel si trova in buona compagnia: la stessa sorte toccherà pure al più famoso Tempelhof, costruito nei primi anni Venti, riprogettato durante il Terzo Reich e noto soprattutto come approdo dei velivoli impegnati nel ponte aereo nel periodo della divisione. Per scongiurarne la chiusura era stato indetto un referendum che però è fallito per il non raggiungimento del quorum. Analizzando i risultati c'è da notare una grossa spaccatura: nei distretti di quella che era Berlino Ovest hanno vinto i contrari alla chiusura, mentre in quelli dell'Est hanno prevalso i favorevoli (i due che, dopo l'unificazione, sono nati dall'accorpamento di quartieri dell'Est e dell'Ovest, e cioè Friedichshain-Kreuzberg e Mitte, hanno votato in maggioranza rispettivamente per il sì e per il no).
Entrambi verranno sostituiti dal meridionale Schönefeld, già ribattezzato Aeroporto Internazionale Berlino–Brandeburgo, che diventerà quindi l’aeroporto della ritrovata capitale della Germania, il degno scalo di una vera capitale di un unico, vero Stato, impegnato, anche per mezzo di tali operazioni, a riguadagnare il prestigio internazionale e a creare all’interno una tradizione che, a guardar bene, non esiste. Specialmente a Berlino. E questa invenzione identitaria, non può che avere come fase preliminare la cancellazione dei segni e dei simboli di ciò che è stato prima. Ad ogni cambio di regime nuovi piani per il riassetto della città destinati a fallire, nuove demolizioni a creare vuoto, ma da questa ostinata volontà di estirpare le tracce della storia si libera uno spazio aperto. La memoria ha qui una forza maggiore nei resti e nei crateri che si vedono disseminati in giro, la storia del secolo scorso affiora qua e là come la risultante dell’azione di erasione che il politico, nelle sue diverse espressioni, dall’impero al mercato, ha esercitato sullo spazio cittadino. Concetti (e prassi) come memoria, raddoppiamento, vuoto, temporaneità sono ben esemplificati da una seppur minima ricognizione dello stato attuale degli aeroporti, ma si possono ritrovare facilmente e amplificati anche ad una prima esplorazione della città.
Sotto un cielo grigio che ci sorprende e affascina, Ottavia ed io ci muoviamo per zone, mettendo immaginarie bandierine nei luoghi che raggiungiamo. Cerchiamo i resti della divisione, di quella tendenza a sdoppiarsi e rifondersi che ha Berlino fin dalla fondazione. Pochi pezzi di Muro ancora in piedi, tra cantieri stradali o nella globalizzata architettura di Potsdamer Platz. Il vento è freddo, ma potrebbe far di peggio visto che la settimana precedente al nostro arrivo si toccano i -19°C. In Karl Marx Alee, il viale delle parate militari della DDR, quasi nessuno. Non passanti, sparute auto. Solo qualche corvo ai lati della strada. I berlinesi camminano spediti e si fanno gli affari loro, mai invadenti (non si potrebbero altrimenti spiegare i finestroni senza imposte delle case). All’occasione si dimostrano però molto disponibili. Noi ci nutriamo della toponomastica. Fino a Pankow. Poi sono le sere che arrivano sempre molto presto, i locali dove ancora si poteva (al tempo) fumare, dove la musica è un continuo stupore, dove portano una ciotola con acqua agli avventori con cane al seguito. La città si dimostra immensa, le distanze da coprire sono considerevoli, ma in soccorso ci sono i capillari mezzi pubblici, su tutti U-Bahn ed S-Bahn (il venerdì ed il sabato vanno tutta notte). E ad ogni stazione profumo di cibo. E quasi ovunque vedi la Fernsehturm, la torre della televisione, a sfidare le nubi. Due grossi debiti di memoria: il Bauhaus Archiv-Museum e, quasi imperdonabile, lo Jüdisches Museum.
Berlino, che è stata centro del mondo, in cui la storia si è fatta, agita o subita (ma che è ora che sta condannando la città «allo svanimento»), si sta ora normalizzando. La spinta dei primi anni Novanta si è spenta nel giro di dieci anni, le casse cittadine vuote, la speculazione edilizia, «il capitale» che «si impadronisce della città socialista dopo il 1989» hanno cambiato l’umore della città, hanno trasformato quartieri popolari in luoghi alla moda e spinto verso piccole riserve e verso la periferia gli squat. Diventerà una qualsiasi capitale europea, ma per ora gli spazi sono ancora vasti, i prezzi bassi. Ottavia ed io alla fine ci ritroviamo in mezzo a gite scolastiche e viaggiatori d’affari, di nuovo a Tegel, tutti con i nostri gadgets culturali.

2 commenti:

Giò ha detto...

E pensare che alcuni pezzi del muro sono stati comprati da uno dei comuni qui vicino. Per ricordare dicono. Ma in realtà è solo una questione d'affari.. Alquanto triste se ci pensi..
Saluto
Giò

tojo ha detto...

io che sono un feticista della paccottaglia d'oltre-cortina non ho osato prendere un frammento di muro. e ne vendevano parecchi, nei mercatini e se non ricordo male anche nei negozi di souvenir..
e mi faceva effettivamente tristezza vederli esposti..